Un quarto delle emissioni mondiali di gas serra provengono dalla produzione di cibo. Dalla gestione del terreno alle pratiche agricole, dal trasporto all’imballaggio, ciò che mettiamo nel piatto ogni giorno ha un effetto reale sul clima. È di grande importanza, quindi, poter accedere a dati e informazioni affidabili per fare scelte consapevoli. Fra tutti i parametri considerati ecologici (biologico, chilometro zero, dieta vegetariana/vegana, stagionalità), alcuni hanno un peso maggiore sulle emissioni di gas serra?
Our World in Data è un’iniziativa congiunta fra i ricercatori dell’università di Oxford e la Onlus Global Change Data Lab; il suo scopo è rendere visibili, accessibili e comprensibili i dati empirici prodotti da ricerche scientifiche rispetto alle sfide più grandi del nostro mondo.
A gennaio 2020 è stata pubblicata un’analisi delle emissioni di gas serra prodotte lungo tutta la filiera produttiva dei generi alimentari, distinguendo non solo fra le emissioni generate per ogni categoria di prodotto, ma anche fra le diverse attività di produzione, così da rendere più chiaro, per esempio, se le emissioni di un prodotto siano dovute principalmente al metodo agricolo impiegato, oppure al suo trasporto o all’imballaggio.
Per individui, famiglie e comunità che desiderano ridurre il proprio contributo alla crisi climatica, è dunque possibile capire quali siano le scelte più efficaci, fra cui la transizione verso cibi locali, il consumo di prodotti biologici e il privilegiare una dieta a base vegetale. L’analisi prende in considerazione anche la differenza di impatto dovuto ai diversi tipi di gas serra (monossido di carbonio, metano, ossido nitroso), utilizzando come unità di misura “CO2-equivalente”.
Alcuni risultati potranno forse sorprendere: si genera più gas per produrre un chilo di formaggio piuttosto che un chilo di carne suina; le emissioni relative al cioccolato sono paragonabili a quelle di alcuni tipi di carne piuttosto che a quelle di altri cibi vegetali. Inoltre, l’autore tiene a sottolineare che le emissioni prodotte dal trasporto del cibo sono trascurabili, tali da non essere prese nemmeno in considerazione; è invece la categoria di cibo che di gran lunga determina il maggiore impatto ecologico:
“Le emissioni di CO2 dovute alla maggior parte dei prodotti vegetali sono da 10 a 50 volte inferiori rispetto a quelle dovute alla maggior parte dei prodotti animali“, mentre “fattori come distanza di trasporto, commercio e vendita, imballaggio e metodo agricolo sono spesso irrilevanti rispetto alla tipologia di cibo“.
L’unica eccezione riguarda i pochi generi alimentari trasportati in aereo: prodotti freschi e facilmente deperibili come asparagi, fagiolini e bacche provenienti da oltremare e fuori stagione. Per questi invece le emissioni dovute al loro trasporto diventano significative, producendo 50 volte più CO2-equivalente rispetto al trasporto per mare e terra.
I dati presentati nell’analisi mettono in prospettiva una delle critiche mosse al metodo biologico, cioè che la coltivazione bio richieda una percentuale di terreno maggiore per ottenere la stessa resa rispetto ai metodi convenzionali, producendo quindi emissioni leggermente maggiori, per chilo per lo stesso tipo di alimento. Questa differenza però è del tutto irrisoria rispetto alla scelta della categoria di cibo: una differenza del 21% fra un prodotto bio e uno non bio è irrilevante rispetto a un valore di 5000% (cinquanta volte) di emissioni in più a causa della produzione di carne e latticini rispetto a un alimento a base vegetale. Una dieta prevalentemente a base vegetale e biologica, quindi, oltre agli effetti ambientali positivi del metodo biologico stesso, compensa le eventuali emissioni sopracitate grazie al fattore più determinante, ovvero, quello della scelta del prodotto vegetale. Viceversa, il consumo di carne, latticini e uova, pur in una dieta strettamente biologica, effettivamente riduce notevolmente i benefici del metodo bio. Per esempio, il metodo biologico mira a tutelare la biodiversità, ma le emissioni di gas serra dovute alla produzione di carne e di latticini provocano il riscaldamento globale, con conseguenze disastrose per la biodiversità stessa sul pianeta.
Quale nostra scelta fa davvero la differenza? Non vi è un’unica soluzione per rallentare o fermare la crisi climatica. Comunque, alla luce del fatto che un quarto delle emissioni di gas serra provengono dal settore alimentare, di cui due terzi sono generati dalla produzione di carne e latticini, una riduzione sostanziale o l’eliminazione di carne, latticini e uova dalla propria dieta risulta in assoluto l’azione non solo più semplice ma anche la più efficace.